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      Quid est vero decipi sensum, nisi hæc esset deceptio? (24)
      SALV. È forza che questo filosofo creda che quella Terra che il Copernico fa andare in giro, insieme con l'aria ambiente, per la circonferenza dell'orbe magno, non sia questa dove noi abitiamo, ma un'altra separata, perché questa nostra conduce seco noi ancora, con la medesima velocità sua e dell'aria circostante: e qual ferita possiam noi sentire, mentre fuggiamo con egual corso a quello di chi ci vuol giostrare? Questo signore s'è scordato che noi ancora siamo, non men che la Terra e l'aria, menati in volta, e che in conseguenza sempre siamo toccati dalla medesima parte d'aria, la quale però non ci ferisce.
      SIMP. Anzi no: eccovi le parole che immediatamente seguono: Præterea nos quoque rotamur ex circumductione Terræ etc. (25)
      SALV. Ora non lo posso piú né aiutare né scusare; scusatelo voi e aiutatelo, signor Simplicio.
      SIMP. Per ora, cosí improvvisamente, non mi sovvien difesa di mia sodisfazione.
      SALV. Ombé, ci penserete stanotte, e difenderetelo poi domani: intanto sentiamo l'altre opposizioni.
      SIMP. Séguita pur l'istessa instanza, mostrando che in via del Copernico bisogna negar le sensazioni proprie. Imperocché questo principio, per il quale noi andiamo intorno con la Terra, o è nostro intrinseco, o ci è esterno, cioè un rapimento di essa Terra: e se questo secondo è, non sentendo noi cotal rapimento, convien dire che 'l senso del tatto non senta il proprio obietto congiunto, né la sua impressione nel sensorio; ma se il principio è intrinseco, noi non sentiremo un moto locale derivante da noi medesimi, e non ci accorgeremo mai di una propensione perpetuamente annessa con esso noi.


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Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano
di Galileo Galilei
Einaudi Torino
1970 pagine 608

   





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