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      Ora, se questo grano riceve dal Sole tutto quello che ricever si può, né gli viene usurpato un minimo che dal produrre il Sole nell'istesso tempo mille e mill'altri effetti, d'invidia o di stoltizia sarebbe da incolpar quel grano, quando e' credesse o chiedesse che nel suo pro solamente si impiegasse l'azione de' raggi solari. Son certo che niente si lascia indietro dalla divina Providenza di quello che si aspetta al governo delle cose umane; ma che non possano essere altre cose nell'universo dependenti dall'infinita sua sapienza, non potrei per me stesso, per quanto mi detta il mio discorso, accomodarmi a crederlo: tuttavia, quando pure il fatto stesse in altra maniera, nessuna renitenza sarebbe in me di credere alle ragioni che da piú alta intelligenza mi venissero addotte. In tanto, quando mi vien detto che sarebbe inutile e vano un immenso spazio intraposto tra gli orbi de i pianeti e la sfera stellata, privo di stelle ed ozioso, come anco superflua tanta immensità, per ricetto delle stelle fisse, che superi ogni nostra apprensione, dico che è temerità voler far giudice il nostro debolissimo discorso delle opere di Dio, e chiamar vano o superfluo tutto quello dell'universo che non serve per noi.
      SAGR. Dite pure, e credo che direte meglio, che noi non sappiamo che serva per noi: ed io stimo una delle maggiori arroganze, anzi pazzie, che introdur si possano, il dire "Perch'io non so a quel che mi serva Giove o Saturno, adunque questi son superflui, anzi non sono in natura"; mentre che, oh stoltissimo uomo, io non so né anco a quel che mi servano le arterie, le cartilagini, la milza o il fele, anzi né saprei d'avere il fele, la milza o i reni, se in molti cadaveri tagliati non mi fussero stati mostrati, ed allora solamente potrei intender quello che operi in me la milza, quando ella mi fusse levata.


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Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo tolemaico e copernicano
di Galileo Galilei
Einaudi Torino
1970 pagine 608

   





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