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      L'illuminazione, oltre al farsi in instanti, si estende per intervallo dirò quasi che infinito, ché ben tale si può chiamare quello delle innumerabili piccolissime stelle fisse, le quali, essendo dalla vista nostra libera impercettibili, pur visibili si rendono con l'aiuto del telescopio; argumento necessario che l'illuminazione di quelle sino a Terra si conduce, ché se ciò non fusse vero, tutti i cristalli del mondo visibile non le renderebbono: non so poi se il caldo loro in altrettanta lontananza così sensibile possa rendersi. Non piccola dunque è la differenza tra l'illuminare e lo scaldare: tuttavia amendue tali impressioni non si vede che possano essere ricevute se non in materie, come si è detto, che ritengano qualche densità: ché le tenuissime, rarissime e diafanissime, quali si tiene che siano l'aria pura e l'etere purissimo, veramente non si illuminano né si riscaldano, effetto che anco dalla esperienza ci può esser dimostrato, ancorché far nulla possiamo né nel purissimo etere né nell'aria schietta e sincera, avvengaché nella mista e turbata da i vapori continuamente ci ritroviamo. Tuttavia in questa ancora gli effetti dello illuminarsi e scaldarsi non si veggono esser se non debolissimi, come chiaramente ci mostrano i raggi solari dal sopradetto grande specchio concavo ripercossi, i quali né illuminano né scaldano l'aria compresa dal cono, come di sopra si è dichiarato. Che poi né l'aria pura né il purissimo etere si iiluminino, ce lo mostrano le profonde notti: imperoché, non restando di tutto l'elemento dell'aria altro non tocco dal Sole che la piccola parte compresa dentro al cono dell'ombra della Terra, e talvolta qualche altra minor particella ingombrata dalle ultime parti del cono dell'ombra lunare, sicuramente quando tutto il restante fusse illuminato, averemmo un perpetuo crepuscolo, e non mai profonde tenebre.


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Lettere
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore
1953 pagine 265

   





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