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      Aggiungesi a questo, che l'impeto e la mobilità impressa, assai più lungamente e gagliardamente si conserva ne i corpi solidi e gravi, che ne i fluidi e leggieri: e così veggiamo in un gran peso pendente da una corda, per molte ore conservarsi l'impeto e moto communicatogli una volta sola; ed all'incontro, sia quanto si voglia agitata l'aria rinchiusa in una stanza, non prima cessa l'impeto di quel che la commoveva, ch'ella totalmente si quieta, né ritien punto l'agitazione. Quando, dunque, l'ambiente e movente è liquido, e fa forza in un contenuto solido, corpulento e grave, va imprimendo la mobilità in un soggetto atto nato a ritenerla e conservarla lungo tempo; per lo che il secondo impulso sopravenente trova il moto impresso di già dal primo, il terzo impulso trova l'impeto conferito dal primo e dal secondo, il quarto sopragiunge alle operazioni del primo, secondo e terzo, e così di mano in mano, onde il moto nel mobile vien non pur conservato, ma augumentato ancora: ma quando il mobile sia liquido, sottile e leggiero ed in conseguenza impotente a conservare il movimento impresso, e che tanto è quello che s'imprime quanto quello che si perde, il volergli imprimer velocità è opera vana, qual sarebbe il volere empier il crivello delle Belide, che tanto versa quanto vi si rinfonde. Or eccovi, signor Lottario, mostrato somma diversità ritrovarsi tra queste due operazioni, che a voi parevano una cosa medesima.
      39. Passiamo ora al terzo argomento. "Sed demus Galilæo, orbis huius interiorem superficiem tornatam ac lævem esse: nego, lævibus corporibus aërem non adhærescere.


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Il Saggiatore
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore
1953 pagine 290

   





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