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      Tutto questo vi concedo io, perch'è verissimo; e più v'aggiungo che non dubito punto che le frecce e le palle, non solo di piombo, ma di pietra e di ferro ancora, cacciate fuor d'una artiglieria si consumano, nel ferir l'aria con quella somma celerità, più che gli scogli o le muraglie nelle percosse dell'acqua e del vento; e dico, che se per fare una notabile corrosione o scortecciamento negli scogli e nelle torri ci vuole il ferir di ducento o trecento anni dell'acqua e del vento, nel roder le frecce e le palle d'artiglieria basterebbe ch'elle durassero ad andar per aria due o tre mesi soli: ma il tempo di due o tre battute di polso solamente non intendo già come possa fare effetto notabile. Oltre che mi restano due altre difficoltà nell'applicar questa vostra, veramente ingegnosa, considerazione al proposito vostro: l'una è, che noi parliamo di liquefare e struggere per via di calore, e non di consumare per via di percosse; l'altra è, che nel caso vostro voi avete bisogno che non il corpo solido, ma il corpo molle e sottile, sia quello che si stritoli ed assottigli, cioè l'aria, ch'è quella che s'ha poi ad accendere: ora l'esperienze addotte da voi provano che i sassi, e non l'aria o l'acqua, ricevon l'attrizione; e veramente io credo che l'aria e l'acqua, picchino pure se sanno picchiare, non però si assottiglieranno mai più che prima. Per tanto io concludo, poco aiuto e sollevamento per la causa vostra derivar da queste cose, come anco da quel ch'aggiungete della gragnuola e delle gocciole dell'acqua: delle quali io vi concedo che nel cader da alto si vadano rappiccolendo; ve lo concedo, dico, non perch'io non creda che possa esser vero anco tutto l'opposito di quel che dite voi, ma perché non veggo che né nell'uno né nell'altro modo abbia che far col proposito di che si tratta.


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Il Saggiatore
di Galileo Galilei
Ricciardi Editore
1953 pagine 290