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      Hora, che ho sentito haver V. A. S. ricevuti i miei humilissimi segni di devozione con quell'istessa benignità di aspetto con la quale si degnò sempre di aggradire la mia presenzial servitù, vengo con sicurezza maggiore ad inchinarmeli et ricordarmeli per uno di quei fedelissimi et devotissimi servi, che a somma grazia et gloria si reputano di essergli nati sudditi; se non inquanto questo mio debito naturale precide la strada alla mia volontaria elezione di poter mostrare all'Altezza Vostra di quanto lunga mano io anteporrei il giogo suo a quello di ogn'altro Signore, parendomi che la soavità delle sue maniere et la humanità della sua natura siano potenti a far che ciascheduno brami di essergli schiavo. Questa mia naturale disposizione fa che io non pensi ad altro che a quello che potesse esser di servizio di V. A. S.; ma dubito molto di non gli havere a restare servo in tutto inutile, poi che i maneggi et l'imprese grandi non sono da me, et sono le basse aliene da l'Altezza Vostra. Supplisca dunque al difetto delle mie forze l'eccesso della sua benignità, et si appaghi di quello che, mancando negli effetti, soprabbonda nel mio animo.
      Al Ser.mo Gran Duca et a Madama Ser.ma desidero esser ricordato per devotissimo servo per bocca di V. A. S.; anzi, desiderando ricordarmi tale all'Ill.mo et Ecc.mo S. D. Ferdinando Gonzaga et a gl'Ill.mi et Ecc.mi Sig.ri Orsini(279), ho concluso che questo mio affetto, passando per la lingua di V. A. S., aqquisti tanto di efficacia et valore, che il dir lei a quelli Ecc.mi Signori solamente: Il Galilei vive vostro devotissimo servo, possa eccedere qualunque più culta et efficace orazione, che per persuadere questa verità io potessi imaginarmi.


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Le opere di Galileo Galilei
Volume X. Carteggio 1574-1610
di Galileo Galilei
Barbera Firenze
1964-1965 pagine 710

   





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