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      Quando dunque ei sarà giunto, per esempio, a 100 gradi di tardità, che ragione si potrà egli addurre ch'ei faccia passaggio da i cento gradi di tardità alla quiete, cioè alla tardità infinita, tralasciando di passare per li 120, per li 200, per li 1000, che pur sono al 100 più propinqui che l'infinito? E così convertendo il suo movimento dal punto altissimo verso il basso, arbitrario più che ragionevole sarebbe, per mio parere, il discorso di colui che volesse negare ch'ei ripassasse conversamente, cioè con ordine prepostero, quei medesimi gradi per i quali passò nella salita.
      Questo è quanto per ora voglio dire a V. S. Ill.ma in questo proposito, aggiugnendo solamente il rendergli le debite grazie del geloso offizio che gli è piaciuto di fare per conservazione della mia reputazione. E per non tediarla più lungamente, con riverente affetto gli bacio le mani e li prego da Dio il colmo di felicità.
     
      D'Arcetri, li 5 Giugno 1637.
      Di V. S. Ill.maDev.mo et Obb.mo S.re
      Galileo Galilei.
     
     
     
      3495.
     
      GALILEO a ELIA DIODATI in Parigi.
      Arcetri, 6 giugno 1637.
     
      Dal Tomo III, pag. 173-174, dell'edizione Fiorentina citata nell'informazione premessa al n.° 1201.
     
      Dalla villa d'Arcetri, 6 Giugno 1637.
     
      Alla lettera(220) di V. S. molt'Ill., piena della solita cortesia ed offizio affettuosissimo, datami alli 12 Maggio(221), rispondendo, le dico che quanto alla prima domanda ch'ella mi fa, io mi trovo tanto molestamente aggravato dalla flussione nell'occhio destro, che non solamente mi vien tolto il poter nè leggere nè scrivere una sillaba, ma il far ancora nessuno di quegli esercizi che ricercano l'uso della vista, nè più nè meno che se io fussi del tutto cieco.


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Le opere di Galileo Galilei
Volume XVII. Carteggio 1637-1638
di Galileo Galilei
Barbera Firenze
1964-1965 pagine 584

   





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