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      Dico dunque, che con qualche congruenza e probabilità possiamo assegnare la diffinizione di quella qualità da noi comunemente chiamata negrezza, e dire che non sia altro che una superficie a guisa di uno artificiosissimo sepolcro di lume, talmente disposta che i lumi che la feriscono habbino sempre i loro tratti, corsi e muovimenti verso le parti interne dopo essa superficie, ed ivi restino nel modo dichiarato sepolti: e per il contrario diremo, il bianco essere una superficie talmente disposta che i lumi che la feriscono habbino da risaltare la maggior parte, se non tutti, verso le parti esterne(379). E che questo sia probabilmente detto, pare che se n'habbia assai buono riscontro dal vedere noi, che macinate che siano in polvere finissima molte pietre colorate, subito si vestono di bianco; ed i coralli rossi, dopo essere stati macinati, si fanno bianchi, perdendo quasi affatto il loro primiero colore.
      Hora, venendo più d'appresso alla soluzione del nostro quesito, direi, stanti le sodette cose, che la parte nera del matone si riscalda più che la bianca al lume del sole, imperochè, agitandosi e ribattendo il lume dentro al nero, muove in gran copia quelli corpuscoli che compongono quella parte, e così eccitano il calore; cosa che non possono così facilmente fare i lumi nel bianco, dal quale vengono ripercossi verso le parti esterne per le ragioni già spiegate, e però non commuovono in tanta copia le particelle e corpuscoli componenti quella parte. E qui notisi, che con lasciare per longo spazio di tempo ancora il bianco al lume del sole, finalmente ancora esso bianco concepisce il calore, dovendosi muovere finalmente ancora le sue parti e produrre il calore.


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Le opere di Galileo Galilei
Volume XVII. Carteggio 1637-1638
di Galileo Galilei
Barbera Firenze
1964-1965 pagine 584