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      Sig.r Galileo, la testa non mi regge più. Finisco con reverirla devotissimamente e in nome ancora de' SS. Marsilii e Stecchini.
     
      Pisa, 8 Febb.o 1639(341).
      Di V. S. molto Ill.re et Ecc.maOblig.mo e Devotiss.o Ser.re
      Dino Peri.
     
     
     
      3965**.
     
      VINCENZO RENIERI a [GALILEO in Arcetri].
      Genova, 10 febbraio 1640.
     
      Bibl. Naz. Fir. Mss. Gal., P. III, T. VII, 1, car. 182. - Autografa.
     
      Molto Ill.re et Ecc.mo mio Sig.re e P.ron Col.mo
     
      Mi è a punto giunta la carissima sua, quando ch'io stava con somma ansietà d'haver nuova di lei, essendo tanto tempo ch'io non ne haveva avviso: e mi creda V. S. Ecc.ma che al martello ch'io sento nella lontananza da lei, mi pare di poter dir col Bernia, che
     
      E' non è donna, e me ne innamorai.
     
      Le invidio in tanto la lettura del Sig. Liceti, del quale in questa parte non ho per ancor veduta l'opra, ma quanto prima m'informerò dal di lui fratello per veder se ve ne son giunte copie. Nel sentir che in questo suo trattato egli impugna la opinione del reflesso della luce dalla terra nel'orbe lunare, m'è venuto in pensiero ch'egli habbia forsi creduto che la luna fusse della materia di quella pietra che imbeve il lume, o vero non dissimile; il che se fosse, come pur alcuni han fantasticato, sarebbe veramente una linda galanteria. Io, in quanto a me, credo che le ragioni che egli o altri sono per arrecar in questo proposito contro l'opinione di V. S. Ecc.ma, faranno apunto in me quella forza che farebbero quelle di chi volesse persuadermi che il lume ch'io vedo in terra nel reflesso della quintadecima non mi venisse dalla luna.


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Le opere di Galileo Galilei
Volume XVIII. Carteggio 1639-1642
di Galileo Galilei
Barbera Firenze
1964-1965 pagine 850

   





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