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      Afferma, che se la terra riflettesse il lume del sole, dovrebbe farlo maggiormente della luna, il che non si vede seguire, essendo che la sperienza mostra esser assai più chiaro in terra nelle notti della quintadecima, che nella luna al tempo della congiunzione. S'egli è stato colassù in tal tempo, onde habbia di ciò potuto far paragone, mi rimetto; ma se non v'è stato, dubito ch'egli dica delle baie e che contraddica a sè stesso, il quale poco anzi vuol che derivi l'esser o non esser quel secondario lume nella luna dall'esser ella più o meno vicina al sole, et ora vuol che tanto chiara vediamo quella luce ch'è lontana dal cielo in terra, quanto quella c'habbiamo quaggiù negli occhi. Certo se la luce si riflette men gagliardamente da luogo più lontano, men viva si vedrà parimente in distanza grandissima di quello che si vegga presente.
      Dice, che se la terra mandasse quel lume, ei si vedrebbe più vivo nel centro che nella circonferenza del disco lunare, per ragione di quelle concavità ch'egli vuol trasformare in specchi: come se, essendovi specchi, noi fossimo nel luogo dove mandassero la riflessione, e come se la luce non dovesse mostrarcisi maggiore di dove ci si manda dalle spesse cime de' monti lunari, che di onde si ribatte da varie cavità e lagune dello stesso corpo. E poi, S.r Fortunio, faccendo tutto camminare a vostro modo, non dovrà seguir lo stesso del lume che riceve dal sole? Se dite di no, bisogna ridere; se dite di sì, guardate la luna, che sempre, e più quando è piena, vi dà cento mentite, mostrandosi più risplendente nell'estremità che nel mezzo.


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Le opere di Galileo Galilei
Volume XVIII. Carteggio 1639-1642
di Galileo Galilei
Barbera Firenze
1964-1965 pagine 850

   





Fortunio