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      Era veramente molto piccolo il residuo dei nostri prodi assalitori. Comunque, non essendo gravemente ferito, Cozzo, ed alcuni dei rimasti, al grido di: Viva l'Italia! che partiva dai liberatori capitanati dalle nostre eroine, si precipitarono sul cancello, riunironsi ai nostri, e tutti insieme, lanciaronsi nell'interno, sulla guarnigione, la quale, benchè numerosa, fuggiva spaventata in tutte le direzioni.
      I liberati in quel trambusto eran pervenuti ad armarsi tutti - chi con armi da fuoco, chi con sciabole, e chi con altre armi tolte ai caduti ed ai fuggenti - e la partita diventava assai sfavorevole ai Borbonici, già disposti di abbandonare il forte, e gettarsi in mare, cercando la protezione della flotta.
      Il sinistro genio d'Italia vegliava però sulla sorte della tirannide, e le conservò con le sue malizie per pochi giorni ancora, quel baluardo importante che, perduto il giorno 27 maggio, avrebbe sommamente servito all'impresa dei Mille su Palermo.
      Il lettore ricorderà d'aver lasciato il gesuita rovesciato, ed in deplorevole condizione, nella cella di Marzia. Per la sventura del mondo, questa razza di vipere ha la pelle dura, e fattosi riconoscere dal birro che invase la cella, al rumore della lotta che vi era seguíta, questi lo aiutò a sollevarsi e lo accompagnò alla sponda del mare, ove il Monsignor - pezzo grosso - avea sempre un palischermo da guerra a sua disposizione.
      Il settario di Loiola, per quanta poca pratica avesse delle cose militari, avea capito che un assalto era stato dato dalla parte di terra al castello, e conoscendo quanta importanza avea lo stesso, come veicolo, e protezione delle comunicazioni tra la flotta ed il quartier generale, corse immediatamente dall'ammiraglio, per prevenirlo del pericolo, e sollecitarlo a non abbandonare Castellamare.


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I Mille
di Giuseppe Garibaldi
Tipogr. Camilla e Bertolero
1874 pagine 356

   





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