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      Egli diceva: «meglio uccello di bosco, che uccello di gabbia».
      Il Comandante della Borbona era, come tutti i servitori di Re, uomo col cuore nella pancia, e bastava perciò che non l'avessero disturbato nei suoi quattro pasti diurni, e dal suo favorito caffè, due volte al giorno, perchè egli potesse passare per un buontempone.
      Il comandante d'una fregata come la Borbona a bordo è un sovrano, e non abbisogna per ciò essere un Nelson.
      La rigorosa disciplina, ancor più facilmente attuabile sui bastimenti da guerra che nell'esercito, fa sì che ognuno deve ubbidire al capo, inesorabilmente. Di qui non si diserta, non si fugge, non v'è nascondiglio nei combattimenti e per poco coraggio che abbia un marino - ciò che succede raramente - la sua vita stava un dì come la ruggine annessa ad un proietto lanciato dal nemico, oggi essa fa parte dell'acciaio del terribile sperone.
      Il contr'ammiraglio Banderuola era dunque, poco più, poco meno, ciò che dev'essere un ufficiale imperiale o regio; cioè: Onnipotente a bordo della sua nave, ma umile servitore del padrone e pronto a bombardare la casa natía con dentro il padre e la madre, al comando di quello.
      E con tutta la sua onnipotenza, Banderuola sapeva benissimo quanto più onnipotente di lui e del suo padrone era il Gesuitismo, e quindi il rappresentante di esso, il tentatore della nostra valorosa ed infelice Marzia.
      «Non vanno le cose molto bene» diceva Corvo a Banderuola, la stessa sera del 24 luglio 1860 nella camera del comandante della Borbona, mentre questa incrociava a ponente dello stretto di Messina.


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I Mille
di Giuseppe Garibaldi
Tipogr. Camilla e Bertolero
1874 pagine 356

   





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