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      Sotto l'assisa del soldato egli millantava il marziale, nelle parole e nel contegno, e senza quella sua mutria da osteria, si sarebbe potuto credere che egli avesse anche solcato qualche campo di battaglia. Ciò però non era, e la vita dell'avvinato maggiore s'era passata tranquilla nel tranquillo Castello S>. Elmo, ove quarant'anni prima era entrato semplice soldato, e vi avea guadagnato a forza di devozione e di servilismo alla dinastia, le spalline granate.
      L'altro era un conosciuto nostro, elegantemente vestito, avvenente della persona, ma con tutto ciò, puzzando di prete a qualunque olfato, un po' pratico di questi nemici del genere umano.
      «Non dubitate, maggiore, - disse monsignor Corvo al secondo comandante del forte, maggiore Fior di Bacco - non dubitate, fra giorni l'esercito di S. Maestà stanziato a Capua e sulla sponda destra del Volturno, ascenderà a circa cinquanta mila uomini delle migliori truppe del regno, e comandate da famigerati capi. E che potranno questi quattro pelati, che per far ridere presero il titolo di esercito meridionale e che si trovano senz'ordine e senza disciplina disseminati sull'immensa estensione di paese che da Napoli va a Maddaloni, e da questa a S. Maria e S. Angelo?».
      «L'esercito nostro certamente farà a pezzi codeste masnade, ma fa d'uopo che nello stesso tempo, i leali difensori della religione e del trono prendano alle spalle questi scomunicati, acciò nessuno di loro possa fuggire alla giustizia di Dio!» (Che merli! È da notare sopratutto la veracità del vaticinio).


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I Mille
di Giuseppe Garibaldi
Tipogr. Camilla e Bertolero
1874 pagine 356

   





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