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      Ed ora quel miserabile si è dato anima e corpo a questi eretici rompicolli. «Non te n'incaricare» rispondeva Agnello al capitano della camorra «un traditore, è meglio per noi si sia allontanato - la causa del re nostro e della Religione trionferà senza Talarico. «Manaccia!» ripigliava il focoso calabrese «avrei voluto almeno che quell'uomo non fosse della terra mia. - Eppure era valoroso come un demonio quel figlio d'Aspromonte. E non sono favole, tutti noi l'abbiamo veduto all'opera, quando si trattava di menar le mani davvero». Queste ultime parole furono dirette ad un nuovo venuto che con aria di famigliarità e comando erasi avvicinato al tavolo dei dodici.
      «Lasciamo da parte le lamentazioni» sorgeva a dire quel tale da noi conosciuto, «e pensiamo al serio, pensiamo che fra pochi giorni il re nostro attaccherà ed annienterà questa masnada di malviventi, che perciò bisogna tenersi pronti, non solo, ma operare una diversione qui in Napoli, che obblighi il capo degli avventurieri a distrarre una parte delle sue forze, per facilitare l'impresa del nostro esercito».
      Chi avea articolato tali assennati propositi, altro non era che il Monsignor Corvo, sotto le umili vesti d'un bazzaccone. Il gesuita era maestro nell'arte di mascherarsi, e vero proteo o camaleonte, le sue trasformazioni eran ben fatte, fatte a tempo ed a proposito, ed il Sanfedismo non avea certo un altro che fosse sì attivo, sì idoneo e di tanta capacità. I talenti di tal uomo, sarebbero stati un vero tesoro, se applicati alla causa della giustizia.


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I Mille
di Giuseppe Garibaldi
Tipogr. Camilla e Bertolero
1874 pagine 356

   





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