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      «Non piů imposti governi nč guarentigie all'impostura, ma governo scelto da noi e culto del Vero» si udiva cantare da molti operai e contadini (non dai preti e dagli altri fannulloni cresciuti all'ombra d'uno stipendio vergognoso ed ora obbligati a piegar la schiena al lavoro).
      «Vengano avanti al giudice supremo tutti cotesti uomini a nuove grandi fortune senza fatica, e lo ragguaglino sul modo da loro usato per accumularle».
      Ed allora si scorgevano nella folla dei subalterni predoni gli uomini delle regěe, i ministri che, oltre al loro stipendio, avevano accumulato dei milioni appropriandosi un tanto per cento sui prestiti con cui avevano rovinata la nazione; scorgevansi, dico, cotesti messeri che si facevano piccini piccini e nascondevano l'antipatico ceffo dietro alcuni inferiori della stessa risma ch'erano stati complici dei loro misfatti.
      «Noi (son sempre i manuali che cantano) lo possiam provare l'acquisto di questi cenci; possiam provare la fame patita dalle nostre povere famiglie che, malgrado l'abbondanza presente, conservano ancora sulle loro fronti sparute i solchi dei patimenti, e gli stenti, e le desolazioni da noi sofferte.
      «Noi le possiam provare le nostre miserie su cui si satollarono tutti cotesti epuloni, lenoni e mascalzoni venduti corpo ed anima ai potenti».
      Inaspriti e stimolati dal melanconico canto, tutti quei poveri braccianti avanzavano in massa colle loro falci, zappe e vanghe in aria per dar addosso ai preti e compagni..... Ma una voce potente come quella del tuono, uscita dal Foro, ristabiliva la calma in un momento.


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I Mille
di Giuseppe Garibaldi
Tipogr. Camilla e Bertolero
1874 pagine 356

   





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