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      Appariva, in seguito, Timberio il facchino, che era mantenuto in uno stato di relativa magrezza dalla ginnastica della sua professione e dalla sobrietà del suo regime, consistente in un pugno di maccheroni mezzo crudi sparsi di cacio cavallo, d'una fetta di cocomero e d'un bicchier d'acqua ghiacciata, ma che, ben nutrito, avrebbe certo raggiunto la floridezza di Falsacappa, tanto la sua robusta ossatura pareva fatta per sopportare un enorme peso di carne.
      Egli era vestito di rozzi pantaloni, d'un panciotto lungo di stoffa bruna e teneva sulla spalla una grossolana casacca.
      Appoggiato all'orlo della tavola, Scazziga, il vetturino di cui si serviva Paolo d'Aspromonte, presentava anch'egli una fisionomia non comune: i suoi lineamenti irregolari erano pieni di un'ingenua astuzia; un sorriso di comando errava sulle sue labbra canzonatrici, e dall'amenità dei suoi modi si vedeva ch'era in relazione colla gente per bene; i suoi abiti acquistati dal rigattiere simulavano una specie di livrea di cui egli era alterissimo e che secondo lui, metteva una gran distanza sociale fra lui e il selvaggio Timberio; la conversazione di costui si smaltava di parole inglesi e francesi che se non quadravano sempre a proposito col senso delle sue parole, non eccitavano meno per questo l'ammirazione delle cuoche e degli sguatteri, stupiti di tanta scienza.
      Un poco più addietro stavano due giovani serve i cui tratti richiamavano, con minor nobiltà, si capisce, il tipo delle monete siracusane: fronte bassa, naso tutto d'un pezzo colla fronte, labbra un po' grosse, mento grasso e forte; due liste di capelli d'un nero azzurrastro si riunivano dietro il lor capo ad una pesante acconciatura traversata da spille dalla sommità di corallo; delle collane della stessa materia cingevano con triplo giro il lor collo di cariatide i cui muscoli erano assodati dall'uso di portar dei pesi sul capo.


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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano
1910 pagine 113

   





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