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      Detto ciò, il conte, alzatosi, uscì dopo aver salutato profondamente.
      Vincenza, la serva dai capelli crespi, che veniva per portar via la tehiera e le tazze, avea, salendo lentamente la terrazza, inteso la fine della conversazione: ella nudriva contro Paolo d'Aspromonte tutta l'avversione che una paesana degli Abruzzi dirozzata appena da due o tre anni di domesticità, può avere all'indirizzo d'un forestiero sospetto di iettatura; d'altra parte, ella trovava il conte d'Altavilla bellissimo, e non capiva come mai miss Ward potesse preferirgli un giovane magro e pallido che essa, Vincenza, non avrebbe voluto ancorchè non avesse avuto il fascino.
      In tal modo, non apprezzando la delicatezza del conte, e desiderando di sottrarre la sua padrona, che amava, ad una nociva influenza, Vincenza si chinò all'orecchio di miss Ward e le disse:
      - Il nome che vi nasconde il conte d'Altavilla, io lo so.
      - Vi proibisco di dirmelo, Vincenza, se tenete alle mie buone grazie, rispose Alicia. Tutte queste superstizioni sono vergognose ed io le disprezzerò da buona cristiana che non teme che Dio.
      VII
     
      - Jettatore, jettatore! Queste parole erano proprio indirizzate a me, diceva fra sè stesso Paolo d'Aspromonte, rientrando all'albergo; io ignoro che cosa significhino, ma certo devono racchiudere un senso ingiurioso o canzonatore. Che ho io di singolare, d'insolito o di ridicolo per attirare così l'attenzione in un modo sfavorevole? Mi pare, per quanto uno possa essere assai cattivo giudice di sè stesso, di essere nè bello, nè brutto, nè grande, nè piccolo, nè magro, nè grasso e di poter benissimo passare inosservato nella folla.


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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano
1910 pagine 113

   





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