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      Il sole splendeva giojosamente, il cielo era puro, e sull'azzurro del mare brillavano milioni di scintille: a poco a poco Paolo sì rasserenò; egli dimenticò i suoi sogni e le bizzarre impressioni della vigilia, o, se ci pensava, era per accusarsi di stravaganza.
      Egli andò a fare un giro a Chiaja per ricrearsi allo spettacolo della petulanza napoletana; i mercanti gridavano, vendendo le loro derrate, sopra melopee bizzarre nel dialetto popolare, inintelligibili per lui che non sapeva che l'italiano, con gesti disordinati e con una furia d'azione sconosciuta nel Nord; ma tutte le volte ch'egli si fermava davanti a qualche bottega, il mercante prendeva un'aria spaventata, mormorava qualche imprecazione a mezza voce, e faceva il gesto d'allungar le dita come avesse voluto pugnalarlo col mignolo e l'indice, le comari più ardite lo coprivano d'ingiurie e gli mostravano il pugno.
      VIII.
     
      Paolo d'Aspromonte credette, sentendosi insultare dal popolaccio di Chiaja, d'essere oggetto di quelle litanie grossolanamente burlesche di cui i mercanti di pesce regalano le genti ben vestite che attraversano il mercato: ma una repulsione così viva, uno spavento così vero si dipingevano in tutti gli occhi, ch'egli fu costretto a rinunziare a questa spiegazione; la parola: jettatura, che già gli aveva colpito l'orecchio al teatro San Carlino, fu ancor qui pronunciata e stavolta con una espressione minacciosa; s'allontanò dunque a passi lenti, non fissando più su nulla lo sguardo, causa di tanti turbamenti.


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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano
1910 pagine 113

   





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