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      In quel momento, la carrozza correva lungo la riva; la baja scintillava, il cielo sembrava tagliato in un sol zaffiro; uno splendore di bellezza rivestiva ogni cosa.
      Paolo disse a Scazziga di fermare; discese, sedette sopra una roccia e guardò a lungo, a lungo, a lungo, come se avesse voluto portarsi via con sè l'infinito. I suoi occhi si sprofondavano nello spazio e nella luce, si rovesciavano come in estasi, s'impregnavano di splendori, s'imbevevano di sole! La notte che era per sopragiungere non doveva aver più aurora per lui!
      Strappandosi a questa silenziosa contemplazione, Paolo rientrò in vettura e si recò da Alicia.
      Come il giorno avanti essa era sul suo canapè nella sala bassa.
      Paolo le si pose in faccia e stavolta non tenne gli occhi bassi, come faceva da che aveva acquistato la coscienza della sua jettatura.
      La bellezza così perfetta d'Alicia si spiritualizzava per la sofferenza: la donna era quasi scomparsa per dar luogo all'angelo: le sue carni erano trasparenti, eteree, luminose; vi si vedeva l'anima attraverso come una luce in una lampada d'alabastro. Gli occhi avevano l'infinito del cielo e lo scintillio della stella; la vita metteva appena il suo segno roseo nell'incarnato delle labbra.
      Un sorriso divino illuminò la bocca di lei, come un raggio di sole sopra una rosa, allorchè vide gli sguardi del suo fidanzato avvilupparla tutta in una lunga carezza. Credette che Paolo avesse alla fine cacciato le funeste idee sue e tornasse a lei felice e confidente come ai primi giorni, ed ella tese a Paolo la mano bianca e scarna.


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Jettatura
di Théophile Gautier
Sonzogno Milano
1910 pagine 113

   





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