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      La provincia della Gallia sembra, ed in vero sembra soltanto, un'eccezione a questa universal tolleranza. Sotto lo specioso pretesto di abolire i sacrifizj umani, gl'Imperatori Tiberio e Claudio soppressero la pericolosa potenza dei Druidi(120); ma si lasciarono sussistere in una pacifica oscuritą, fino all'ultima distruzione del paganesimo, i sacerdoti, gli Dei ed i loro altari(121).
      Roma, la capitale di una gran Monarchia, era continuamente ripiena di sudditi e di stranieri di ogni parte del Mondo(122) che tutti v'introducevano e professavano le superstizioni favorite de' loro paesi(123). Ogni cittą nell'Impero era autorizzata a mantenere la puritą delle sue antiche cerimonie; ed il Senato romano, usando del comun privilegio, s'interponeva talvolta per frenare questa inondazione di riti stranieri. La superstizione egiziana, la pił disprezzabile ed abbietta di tutte, frequentemente fu proibita: i tempj di Serapide e d'Iside furono demoliti, ed i loro adoratori banditi da Roma e dall'Italia(124). Ma lo zelo del fanatismo prevalse ai freddi e deboli sforzi della politica. Gli esiliati tornarono, si moltiplicarono i proseliti, i tempj furon riedificati con maggior lustro, ed Iside e Serapide ebbero alfine un posto tra le romane divinitą(125). Nč questa indulgenza era un allontanarsi dalle vecchie massime di governo. Nei pił bei secoli della Repubblica, Cibele ed Esculapio erano stati invitati in Roma con solenni ambasciate(126), ed era costume di tentare i protettori delle cittą assediate con la promessa di onori pił segnalati di quelli, che ricevevano nel paese nativo(127). Roma divenne a poco a poco il tempio comune dei suoi sudditi; e la cittadinanza fu conceduta a tutti gli Dei del genere umano(128).


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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