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      Le province, lungamente oppresse dai ministri della Repubblica, sospiravano il governo di un solo, che fosse il padrone e non il complice di quei piccoli tiranni. Il popolo di Roma, vedendo con un segreto piacere l'umiliazione della aristocrazia, non domandava altro che pane e spettacoli, e la mano liberale di Augusto lo contentava. I ricchi e culti Italiani, i quali aveano quasi generalmente abbracciata la filosofia d'Epicuro, godevano le presenti dolcezze della pace e della tranquillità, nè volevano interrompere sogno sì grato con la memoria della antica tumultuosa libertà. Il Senato avea colla potenza perduta la dignità; molte delle più nobili famiglie erano estinte; la guerra, o la proscrizione avean fatti perire i repubblicani riguardevoli per ardimento e per senno; e si era appostatamente lasciato libero l'ingresso in quell'ordine ad una mista moltitudine di più di mille persone, le quali disonoravano il lor grado in vece di trarne decoro(222).
      La riforma del Senato fu uno dei primi passi, coi quali Augusto, non più tiranno, ma padre si mostrò della patria. Fu egli eletto Censore, e di concerto col suo fedele Agrippa, esaminò la lista dei Senatori, ne scacciò alcuni membri, i vizj o l'ostinazione dei quali esigevano un pubblico esempio, ne indusse quasi dugento a prevenire con un volontario ritiro la vergogna dell'espulsione, ordinò che non potesse essere Senatore chi non possedeva quasi ventimila zecchini, creò un numero sufficiente di famiglie patrizie, ed accettò il titolo decoroso di Principe del Senato, che dai Censori era sempre stato conceduto al cittadino più illustre per dignità e per servizj(223). Ma rendendo così al Senato la sua dignità, ne distruggeva l'indipendenza.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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