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      Il discernimento di Rustano, se pur ne avea, non serviva che a confermare i suoi costumi co' pregiudizj. Nel suo linguaggio non v'eran parole per esprimere altro governo che la monarchia assoluta. La storia orientale gl'insegnava che tale era sempre stata la condizione degli uomini(274). Il Corano e gl'interpreti di quel libro divino gli ripetevano, che il Sultano era il discendente del Profeta, e il vicerè del Cielo, che la pazienza era la prima virtù di un Mussulmano, ed una illimitata obbedienza il gran dovere di un suddito.
      Lo spirito dei Romani era preparato molto diversamente per la schiavitù. Oppressi sotto il peso della lor propria corruzione e della militare violenza, per lungo tempo essi conservarono i sentimenti, o almeno le idee dei liberi loro antenati. L'educazione di Elvidio e di Trasca, di Tacito e di Plinio fu la stessa che quella di Catone e di Cicerone. Dalla filosofia greca essi avevano attinte le nozioni più giuste e più generose intorno alla dignità dell'umana natura, ed all'origine della civil società. La storia della lor patria aveva loro insegnato a venerare una Repubblica libera, virtuosa e trionfante, ad abborrire i fortunati delitti di Cesare e di Augusto, e a disprezzare internamente quei tiranni che adoravano con la più abbietta adulazione. Come magistrati e Senatori, erano ammessi in quel gran Consiglio, che aveva una volta dettate leggi alla Terra, il cui nome dava ancora la sanzione agli atti del Monarca, e la cui autorità era così spesso prostituita ai più vili disegni della tirannide.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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