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      Nel tumulto delle discordie civili le leggi della società perdono il vigore, e raramente quelle dell'umanità occupano il loro posto. L'animosità di partito, l'orgoglio di una vittoria, la disperazion del successo, la memoria delle ricevute offese, il timore di nuovi pericoli, tutto insomma contribuisce ad infiammar la mente, e ad affogar le voci della pietà. Per questi soli motivi quasi ogni pagina della storia è stata imbrattata di sangue civile; ma simili motivi non giustificano le crudeltà non provocate di Commodo, il quale godendo di tutto, niente aveva a desiderare. L'amato figlio di Marco successe al suo padre in mezzo le acclamazioni del Senato e degli eserciti(286). E quando ascese al trono questo giovane fortunato, non trovò nè rivali da combattere, nè nemici da punire. In quella tranquilla ed eccelsa fortuna dovea egli naturalmente preferire l'amore degli uomini alla loro detestazione, e le dolci glorie dei suoi cinque predecessori all'ignominiosa sorte di Nerone e di Domiziano.
      E veramente Commodo non era, come lo rappresentano, una tigre nata con sete inestinguibile di sangue umano, e capace, sin dall'infanzia, delle più disumane azioni(287). Nato più debole che malvagio, divenne, per una semplicità ed una timidezza naturale, schiavo dei suoi cortigiani, i quali a poco a poco ne corrupper lo spirito. La sua crudeltà, che da prima fu l'effetto delle altrui suggestioni, degenerò in abito e divenne finalmente la passione che l'animo gli dominava(288).
      Commodo, alla morte del padre, si trovò imbarazzato nel comando di una grande armata, e nella condotta di una guerra difficile contro i Quadi ed i Marcomanni(289). Quei giovani vili e malvagi, che Marco Aurelio avea discacciati, ripresero ben presto il loro posto, e la loro influenza appresso il giovane Imperatore.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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