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      Pertinace trovò una maniera più nobile di condannar la memoria del suo predecessore, contrapponendo ai vizj di lui le sue proprie virtù. Nel giorno stesso del suo avvenimento, cedè tutto il privato suo patrimonio alla moglie ed al figlio, per toglier loro così ogni pretesto di richiedere favori a carico dello Stato. Non volle lusingar la vanità della prima con il titolo di Augusta, nè corrompere l'inesperta giovinezza del secondo colla dignità di Cesare. Distinguendo accuratamente i doveri di padre e quei di Sovrano, educò il suo figliuolo con una severa semplicità, che mentre non gli dava una sicura speranza al trono, poteva un giorno renderlo degno di salirvi. In pubblico il contegno di Pertinace era grave ed affabile. Viveva senza superbia o gelosia co' più virtuosi tra i Senatori, dei quali tutti fin dalla vita privata ei conosceva il vero carattere; considerava que' primi come amici e compagni, coi quali desiderava di godere la tranquillità del tempo presente, come era stato a parte con loro dei passati pericoli. Gl'invitava sovente a famigliari trattenimenti, la cui semplicità era chiamata ridicola da quelli che rammentavano e desideravano il prodigo lusso di Commodo(329).
      La cura, qual si poteva la migliore, delle ferite fatte allo Stato dalla man del tiranno, era la piacevole ma insieme malinconica occupazione di Pertinace. Le vittime innocenti, che ancora sopravvivevano, furon richiamate dal loro esilio, liberate dall'orror della carcere, e rimesse al possesso dei loro beni e delle lor dignità. I corpi insepolti dei trucidati Senatori (giacchè Commodo stendea la sua crudeltà fin dopo la morte) furon riposti nelle tombe dei loro antenati, fu giustificata la loro memoria, e nulla si risparmiò per consolarne le afflitte e desolate famiglie.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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