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      Mentre dunque ogni giorno tanti strani, ed ingiusti testamenti venivano dettati dall'accortezza, e sottoscritti dalla follìa, alcuni pochi erano suggeriti da una sensata stima o virtuosa gratitudine. Cicerone, che tanto spesso avea difeso le vite ed i beni dei suoi concittadini, fu ricompensato con legati, la cui somma ascese quasi a trecento quarantamila zecchini(517); nè pare che gli amici di Plinio il Giovane fosser men generosi verso questo amabile oratore(518). Qualunque fosse il motivo del testatore, il Tesoro reclamava, senza distinzione, la ventesima parte dell'eredità, e nel corso di due o tre generazioni l'intero patrimonio del suddito doveva a poco a poco passare nella cassa dello Stato.
      Nei primi anni felici del regno di Nerone, questo Principe, per desiderio di rendersi popolare, o forse per un cieco impulso di benificenza, ebbe l'idea di abolire tutti i gravami delle gabelle e delle imposizioni sopra le vendite. Applaudirono i Senatori più prudenti alla sua magnanimità, ma lo distolsero dall'esecuzione di un disegno, che avrebbe distrutta la forza e le sorgenti delle ricchezze della Repubblica(519). Se fosse stato possibile di condurre ad effetto questo sogno chimerico, Traiano e gli Antonini avrebbero certamente con ardore abbracciata la gloriosa occasione di rendere un servizio così segnalato al genere umano. Contenti pertanto di alleggerire le pubbliche gravezze, non tentarono di abolirle. La dolcezza e la precisione delle loro leggi determinò la regola e la misura delle imposizioni, e protesse il suddito d'ogni condizione contro le arbitrarie interpretazioni, le antiquate pretensioni, e le insolenti vessazioni degli appaltatori(520). È per altro cosa singolare, che, in ogni secolo, i migliori e più savj Imperatori romani seguissero il pericoloso metodo di dare in appalto i rami, principali almeno, delle gabelle e delle imposizioni sopra le vendite(521).


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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