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      Questa facile condiscendenza acchetò il tumulto; e i due Imperatori, pacificamente riconosciuti in Roma, si apparecchiarono a difendere l'Italia contro il comune inimico.
      Mentre in Roma e nell'Affrica le rivoluzioni si succedevano con sì maravigliosa rapidità, l'animo di Massimino era agitato dalle più furiose passioni. Dicono che ricevè la nuova della ribellione dei Gordiani e del decreto del Senato contro di lui, non collo sdegno proprio di un uomo, ma con la rabbia di una bestia feroce; e non potendo sfogarla contro il Senato lontano, minacciò la vita del proprio figlio, degli amici, e di chiunque osava accostarsegli. La grata notizia della morte dei Gordiani fu presto seguitata dalla certezza che il Senato, disperando affatto del perdono o di accomodamento, avea creati in lor vece due Imperatori, il cui merito non gli era ignoto. La vendetta era l'unica consolazione rimasta a Massimino, e la vendetta potea solo ottenersi con le armi. Alessandro avea raccolta da tutte le parti dell'Impero la forza delle legioni. Tre campagne felici contro i Sarmati ed i Germani, aveano aumentata la loro riputazione, invigorita la disciplina, ed accresciuto ancora il lor numero, che si era compito col fiore della barbara gioventù. Massimino avea passata la vita alla guerra, e la severa sincerità della storia non può negargli il valor di un soldato, ed anche l'abilità di un esperto Generale(555). È naturale il credere che un Principe di questo carattere, in cambio di lasciar coll'indugio prender vigore alla ribellione, marciasse immediatamente dalle rive del Danubio a quelle del Tevere, e che le sue vittoriose truppe, animate dal disprezzo verso il Senato, e desiderose di saccheggiar l'Italia, ardessero d'impazienza di terminare questa facile e ricca conquista.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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