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      Finalmente sopra un ponte di larghe botti, singolarmente costruito con arte e difficoltà, trasportò la sua armata all'altra riva, svelse tutte le belle vigne delle vicinanze di Aquileia, demolì i sobborghi, e si servì di quei materiali per le macchine e per le torri, con le quali assalì la città da ogni parte. Le mura, quasi rovinate nella sicurezza di una lunga pace, erano state in fretta ristaurate in quel subito frangente; ma la più salda difesa di Aquileia stava nella costanza de' suoi cittadini, i quali tutti erano animati, anzichè atterriti, dall'estremo pericolo e dalla cognizione dell'inesorabile indole del tiranno. Il loro coraggio era sostenuto e regolato da Crispino e da Menofilo, due dei venti Luogotenenti del Senato, i quali con un piccolo corpo di truppe regolari si erano gettati nella piazza assediata. L'esercito di Massimino fu rispinto in diversi attacchi, le sue macchine distrutte dai fuochi di artifizio, ed il generoso entusiasmo degli abitanti si cambiò in confidenza di buon successo per l'opinione che Beleno, loro nume tutelare, combattesse personalmente in difesa de' suoi miseri adoratori angustiati(559).
      L'Imperatore Massimo, che si era avanzato fino a Ravenna per fortificare quella piazza importante, ed affrettare i preparativi militari, vide l'esito della guerra nel fedelissimo specchio della ragione e della politica. Sapea troppo bene, che una sola città non poteva resistere ai continui sforzi di una numerosa armata, e temea che il nemico, stanco per l'ostinata resistenza di Aquileia, lasciando ad un tratto quell'inutile assedio, non marciasse direttamente verso Roma.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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