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      Dopo la morte del tiranno il suo formidabile esercito avea più per necessità che per elezione riconosciuta l'autorità di Massimo, che si trasportò senza indugio al campo di Aquileia. Appena ebbe egli ricevuto il giuramento di fedeltà, parlò con termini pieni di dolcezza e moderazione; deplorò, anzichè rimproverare, i fieri presenti disordini; ed assicurò i soldati che il Senato obbliava tutta la loro passata condotta, non ricordandosi di altro che della loro generosa diserzione dal tiranno, e del loro volontario ritorno al proprio dovere. Massimo avvalorò queste esortazioni con un generoso donativo, e purificò il campo con solenne sacrifizio espiatorio, rimandando poi nelle loro diverse province lo legioni, penetrate, com'ei sperava, da un vivo sentimento di gratitudine u di ubbidienza(565). Ma niente potè rappacificare gli animi orgogliosi dei Pretoriani. Essi accompagnarono gl'Imperatori in quel giorno memorabile del loro pubblico ingresso in Roma; ma in mezzo alle universali acclamazioni, il truce e cupo contegno dei medesimi Pretoriani mostrava bastantemente che si consideravano piuttosto come gli oggetti, che come i compagni del trionfo. Quando l'intero corpo di quelli che avean seguitato Massimino, e di quelli ch'erano rimasti in Roma, fu riunito nel loro campo, si comunicarono insensibilmente i loro lamenti e timori. Gl'Imperatori, scelti dall'armata, erano ignominiosamente periti; e quegli eletti dal Senato sedevano in trono(566). La lunga discordia tra la potenza civile e la militare era stata decisa con una guerra, nella quale la prima aveva ottenuta una piena vittoria.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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