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      Pose egli l'intera sua fiducia in Macriano suo Prefetto del Pretorio(867). Questo indegno Ministro rendè il suo Sovrano formidabile solamente agli oppressi sudditi, e disprezzabile ai nemici di Roma(868). Pe' deboli o scellerati consigli di lui fu l'esercito imperiale ridotto in una situazione, nella quale inutili erano ugualmente il valore e il saper militare(869). I Romani, vigorosamente tentando di aprirsi la strada a traverso l'oste persiana, furono respinti con grande strage(870); e Sapore, che circondava il campo con truppe superiori, pazientemente aspettò che il crescente furor della fame e della peste gli avesse assicurata la vittoria. Il licenzioso mormorar delle legioni accusò ben tosto Valeriano come cagione delle loro calamità; i loro sediziosi clamori dimandarono una pronta capitolazione. Venne offerta immensa somma d'oro per comprare la permissione di una vergognosa ritirata. Ma conoscendo il Persiano la propria superiorità, ricusò con disprezzo il danaro; e ritenendo i Deputati, si avanzò in ordine di battaglia ai piedi delle trinciere romane, o chiese una personale conferenza con l'Imperatore medesimo. Fu Valeriano ridotto alla necessità di affidare alla parola di un nemico la sua dignità e la sua vita. Finì la conferenza come si dovea naturalmente aspettare. L'Imperatore venne fatto prigioniero, e le truppe atterrite deposero le armi(871). In un tal momento di trionfo, l'ambizione e la politica di Sapore lo mossero a porre sul trono vacante un successore affatto dipendente dal suo volere.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Primo
di Edoardo Gibbon
pagine 475

   





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