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      Se Licinio persisteva più lungamente nella difesa, si esponeva ad esser involto egli stesso nella rovina della piazza; avanti però che gli fosse chiusa l'uscita, esso prudentemente trasferì a Calcedonia nell'Asia la sua persona, ed i suoi tesori; e siccome bramò sempre di associar compagni alle speranze ed ai rischi della sua fortuna, diede in quell'occasione il titolo di Cesare a Martiniano, ch'esercitava uno degli Uffizj più importanti dell'Impero439.
      Tali erano i ripieghi e tale l'abilità di Licinio, che dopo tante successive disfatte raccolse di nuovo nella Bitinia un esercito di cinquanta o sessantamila uomini, mentre l'attività di Costantino era impiegata nell'assedio di Bisanzio. Il vigilante Imperatore nondimeno non trascurò gli ultimi sforzi del suo antagonista. Fu trasportata in piccoli legni una parte considerabile del suo vittorioso esercito sul Bosforo, e subito ch'ebbe posto i piedi a terra sulle altezze di Crisopoli, o come si dice adesso, di Scutari, fu attaccata la decisiva battaglia. Le truppe di Licinio, quantunque levate di fresco, male armate, e peggio disciplinate, resisterono ai vincitori con infruttuoso ma disperato valore, finchè una total disfatta, e la strage di venticinquemila uomini determinò irrevocabilmente il destino del loro Capo440. Ritirossi egli a Nicomedia col fine di guadagnar tempo, e colla mira piuttosto di entrare in trattato, che colla speranza di un'efficace difesa. Costanza, moglie di lui e sorella di Costantino, intercedè appresso il fratello in favor del marito, ed ottenne dalla politica piuttosto che dalla compassione di questo una solenne promessa, confermata con giuramento, che dopo il sacrificio di Martiniano, e la rinunzia della porpora, sarebbe stato permesso a Licinio di passare il rimanente della sua vita in pace, e nell'abbondanza.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Secondo
di Edoardo Gibbon
pagine 377

   





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