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      Ma siccome molti nobili Armeni tuttavia ricusavano di abbandonare la pluralità degli Dei e delle mogli, la pubblica tranquillità era turbata da una malcontenta fazione, che insultava la cadente età del proprio Sovrano, ed impazientemente aspettava l'ora della sua morte. Morì egli finalmente dopo un regno di cinquantasei anni, e con Tiridate spirò la fortuna della Monarchia Armena. Il suo legittimo erede fu mandato in esilio; i sacerdoti Cristiani o furon uccisi o espulsi dalle loro Chiese, furono sollecitate le barbare Tribù d'Albania a discendere da' loro monti, e due de' più potenti Governatori, usurpando le insegne o la forza della dignità reale, implorarono l'assistenza di Sapore, ed aprirono le porte della loro città alle guarnigioni Persiane. Il partito Cristiano sotto la scorta dell'Arcivescovo d'Artassata, immediato successore di S. Gregorio l'Illuminatore, ricorse alla pietà di Costanzo. Continuaron le turbolenze per circa tre anni, dopo i quali Antioco, uno degli ufficiali del Palazzo, eseguì felicemente l'Imperial commissione di restituire a Cosroe, figlio di Tiridate, il trono de' suoi Padri, di conferire onori e premj a' fedeli seguaci della casa d'Arsace, e di promulgare un general perdono, che fu accettato dalla maggior parte de' Satrapi ribelli. Ma i Romani ritrassero da questa rivoluzione più onor che vantaggio. Era Cosroe un Principe di piccola statura e di spirito pusillanime. Non atto alle fatiche della guerra ed alieno dalla società, si ritirò dalla sua capitale in un remoto palazzo, che fabbricò sulle rive del fiume Eleutero nel mezzo d'un ombroso bosco, dove consumava l'ozioso suo tempo ne' campestri divertimenti della caccia.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Terzo
di Edoardo Gibbon
pagine 482

   





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