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      Avanti d'andare alla guerra, delegò ai Governatori Provinciali molte cause pubbliche e private che s'eran portate al suo Tribunale; ma tornato che fu, diligentemente rivide i loro processi, mitigò il rigore delle leggi e pronunziò un secondo giudizio sopra gli stessi Giudici. Superiore a quell'indiscreto ed intemperante zelo per la giustizia, ch'è l'ultima tentazione degli animi virtuosi, raffrenò tranquillamente e con dignità l'ardore d'un Avvocato, che accusava l'estorsione del Presidente della Provincia Narbonese. "Chi si potrà mai trovar reo" esclamò il veemente Delfidio "se serve il negare?" E chi, replicò Giuliano, "sarà mai trovato innocente, se serve l'affermare?" Nella generale amministrazione, tanto di pace quanto di guerra, l'interesse del Sovrano è ordinariamente l'istesso che quello del popolo: ma Costanzo si sarebbe stimato altamente offeso, se le virtù di Giuliano l'avessero defraudato di una parte del tributo, ch'egli estorceva da un oppresso ed esausto paese. Il Principe, ch'era investito delle insegne della dignità reale, poteva qualche volta pretendere di correggere la rapace insolenza degli agenti inferiori, di porre in chiaro i corrotti loro artifizi, e d'introdurre una specie d'esazione più uguale e più facile. Ma il maneggio delle finanze fu con maggior sicurezza affidato a Florenzio, Prefetto del Pretorio della Gallia, effeminato tiranno, incapace di pietà o di rimorsi; ed il superbo ministro dolevasi della più decente e gentile opposizione, mentre Giuliano stesso era piuttosto inclinato a censurare la debolezza della sua propria condotta.


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Storia della decadenza e rovina dell'Impero Romano
Volume Terzo
di Edoardo Gibbon
pagine 482

   





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