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      Dal giorno delle ceneri fino all'ultima domenica di quaresima era continuamente saltata in capo a questo e a quello, ma sempre tra noi, compreso il cameriere. Il Prefetto aveva concepito un odio grandissimo contro questa povera parrucca, come quella che continuava il carnevale al di là del lunario. Il buon uomo la sera, nelle ore dello studio, aveva il vizio di dormire; e, per intendersi, la stanza destinata allo studio era vicina, a quella del lavamano. La penultima sera di quaresima la parrucca non si sa come saltò sulla zucca al Prefetto addormentato, poi prese fuoco non si sa come. Io che venivo dalla stanza del lavamano, visto questo spettacolo, chiappai un brocchetto e spensi il Prefetto. Io non ho colori per dipingerlo svegliato. Uno stoppaccio, un can barbone che esce dall'acqua, sono immagini troppo smorte. Il fatto sta che la prese con me, e a suon di spinte mi portò al cospetto del Superiore col corpo del delitto in mano, col brocchetto. Il Superiore, che era un buon diavolaccio, viste le figure e udite le prime parole di quell'Iliade, cominciò a spurgarsi e mordere il fazzoletto, e poi a riprese come chi parla fra la tosse, e più con gli atti che con le parole, m'impose di lasciar lì il brocchetto e d'andarmene. Tornato in camerata fui salutato dagli applausi universali e quasi portato in palma di mano; io che avevo inteso di fare un'opera buona, ricusai come . . . .6 gli onori del trionfo, ma finii per essere gastigato a pane e acqua, gastigo dettato più da uno spirito lucrativo che dalla ragione.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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