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      Dante che seppe esser sommo in ogni sorta di poesia, dovrebbe salutarsi padre e signore della satira italiana. Niuno com'egli sa condensar tanta bile in un vocabolo, svergognare una città con una terzina: re spergiuri, papi sacrileghi, donne impudiche, traditori della patria, falsari, ladri, empi, ipocriti, tutti fuggono dinanzi il rotare del suo flagello insanguinato; ma non avendo egli scritto satire propriamente dette, non può esser subietto di quest'esame, e perciò debbo, mio malgrado, discendere a Francesco Berni, il quale dette il suo nome a quella poesia elegante e licenziosa che nacque fra noi col morire della libertà. Per darne un'idea, basti il dire che egli scrisse capitoli in lode dell'anguille, dei debiti, dell'orinale, e di Aristotile, dedicando quest'ultimo a un cuoco. Il Molza fece l'elogio della scomunica, il Coppetta quello del nulla; il Lasca ha scritto un capitolo contro l'abitudine di pensare, e vari in elogio delle corna, dei piselli e delle frittate; il Varchi scrisse due capitoli sull'uova sode: nel primo le loda assai perchè gli piaccion molto, nel secondo ne dice plagas perchè gli han fatto male; il Mauro ha scritto contro l'onore e in lode della menzogna: la quale è a parer suo necessaria alle donne, se pur voglion vivere in pace coi loro mariti; il Bronzino ha lodato la galera, istituzione che secondo lui ha fatto un gran bene all'umanità, e che assai più ne farebbe se ci si mandassero tutti quelli che ne sono meritevoli; Monsignor Della Casa ha fatto l'elogio del bacio (bel tema per un Monsignore!


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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