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      CAPITOLO SESTO.
      AMORI. DOLORI.
      I primi suoi tentativi furono da molti ostacoli attraversati: voglio dire le difficoltà dell'arte, l'incertezza in che si trova sempre chi va senza ben saper dove vada, le censure di certi cotali che non sanno nè fare nè capire, lo sgomento che non di rado assale chi si sente lodare a rovescio. Ma quello che più lo martellava, come poi mi disse, era un dubbio angoscioso: osservando in ciascuno dei nostri maggiori poeti una faccia, un'impronta che lo fa diverso dagli altri, non gli pareva potervi essere vera poesia senza vera originalità; ora volgendo gli occhi sopra se medesimo, sembravagli avere l'ingegno più ordinario, più dozzinale del mondo. Tutto questo era in regola: non possiamo essere originali che a propria insaputa. Non basta: suo padre, che poco curavasi vedersi un poeta per casa, gli ripeteva di continuo: «Che vuoi fare? Non vedi che i posti alla predica sono già tutti presi?» E il povero Beppe rispondeva sospirando: «È vero pur troppo!» Ma intanto il suo genio lo incalzava; il suo genio che coi fremiti inaspettati, con le lacrime tacite, colle inerzie pensose gli si era già fatto sentire senza essersi peranco fatto conoscere. Sono di quel tempo L'Elegia a Carlo Falugi, La Mamma Educatrice, Al Padre Bernardo da Siena, Un insulto d'apatia, Il mio nuovo Amico, Professione di fede alle donne, Ave Maria, parole d'un Consigliere al suo Principe, e varie altre poesie da lui in seguito rifiutate, ma che io certamente mi terrei d'aver fatto, e forse forse, o lettore, anche tu.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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