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      Qualche volta le nostre discussioni dalla politica passavano alla letteratura. Il Giusti, studioso com'era della Divina Commedia, avea cominciato un lavoro sopra Dante che continuò fino agli ultimi giorni della sua vita, con cui proponevasi redimerlo da certi commentatori che gli hanno fatto dire quello che non ha detto, e qualche volta il contrario di quel che voleva dire. A tale effetto prendeva ricordo di tutte le idee che gli si presentavano, scrivendole (come soleva fare anche il Pascal dei suoi Pensieri) sopra tanti pezzetti di carta, che una folata di vento avrebbe portati via. Questi foglietti passavano in giro fra le nostre mani, e si leggeva avidamente quello che un gran poeta scriveva sopra un poeta grandissimo. Egli fra le altre cose credeva di vedere in Dante, un concetto unico che si svolgesse dalla prima all'ultima linea.77 E giacchè sono su questo soggetto, dirò che quei fogli sono stati poi regalati dal Capponi all'Accademia della Crusca, e potrebbero forse divenire di pratica e pubblica utilità, ove una mente dotta ed industre prendesse a studiarli. Quanto a me non mi ci sono provato neppure, conoscendomi troppo minore all'impresa. Io ho letto sempre la Divina Commedia da vero egoista, avendo cioè impiegato ad ammirare i luoghi splendidi quel tempo che gli studiosi impiegano a intendere i luoghi oscuri.
      Erasi anche provato nella Commedia, e qualche informe abbozzo fra i suoi manoscritti ne resta, e di qualche soggetto qualche rara volta ci parlò; ma sebbene ricco d'ingegno, d'immaginazione, e lepore, non so se avrebbe potuto trattare un genere di componimento, in cui non riuscì Voltaire medesimo, che riuscì quasi in tutto.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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