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      Egli poi soleva scrivere la prima idea che gli passava per la testa sul primo pezzo di carta che gli veniva fra mano. Per esempio:
      «Coloro che si addormentano dopo un primo successo, sono come colui che si ponesse a sedere sopra il fiore che ha coltivato.»
      E altrove:
      « — So che avete detto male di Sua Altezza.
      » — Come! Se mi son fatto avere in tasca a tutti per dirne bene!»
      Questa vita di chiasso, di studio, d'affetto, rese al Giusti almeno per quel tempo il suo antico ben essere, e col ben essere si ridestò il suo genio creatore. «Da un mese in qua (scrive al Manzoni)78 ho ripreso a tirar giù versi e prose (anco prose) a rifascio. Se mi prometti di non ridere e di non spaventarti eccotene la lista. Ho dato la penultima mano al Poeta Cesareo; ho fatto un venti di terzine senza titolo che potranno servire come un Avviso al lettore, per un libro di là da venire; ho scritto di sana pianta una specie di nenia cagnesca in derisione dei paralitici di diciott'anni, vizio scrofolare del giorno; ho tirato giù una serqua di sestine intitolate Padre Bile, Padre Giulebbe e Padre Tentennino, tre padri che sono come tre stelle polari agli armeggioni, ai declamatori ed ai bottegai dell'ingegno; ho pronta o quasi pronta un'altra serqua e mezzo di sestine sulla Dottrina della rassegnazione; son lì lì per levar di forno uno scherzo leggerissimo intitolato L'intercalare di Gian-Piero, e una tiritera in sette o otto canti che racconterà i casi di Stenterello.» Con questa si propone di colpire il vizio pur troppo comune di non contentarsi del proprio stato.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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