Pagina (77/416)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Non è da dirsi la maraviglia, e direi quasi la commozione che si prova osservando quella sublime incontentabilità che gli fè poi raggiungere il sommo dell'arte. Il fac simile85 che vedesi in fronte di questo scritto potrà darne un'idea, mentre servirà d'incoraggiamento agli scrittori modesti, di remora ai presuntuosi. Sono due ottave tratte dal Sant'Ambrogio, composizione che segna un cambiamento di maniera nel suo scrivere, avendo in questo mescolato con industria mirabile la poesia festiva colla seria, affinchè l'una dall'altra prendesse vigore e risalto.
      Certo, che lavorando in tal modo manca il tempo di scrivere un Poema in cinquantacinque mila versi come l'Amadigi; ma è certo ancora che è tanto difficile leggere l'Amadigi una sola volta quanto non rilegger più volte i versi del Giusti.86 Del resto, chi esamina i manoscritti del Petrarca, dell'Ariosto, dell'Alfieri, del Foscolo, vede quanto dovettero sudare anche quei grandi uomini per scrivere quei versi sublimi. Il Buffon che fu uomo di genio, definì il genio una lunga pazienza.
      E questo suo amore all'arte e alla forma, questa cura scrupolosa di non lasciare uscire dalle sue mani cosa che non fosse condotta ad ogni possibile perfezione, era in lui sì potente, che l'osservava anche in quel genere di componimento che meno ne abbisogna, voglio dire nelle lettere. Nè mi rimuove da questo pensiero quanto egli scrive al Grossi,87 cioè: «non sono uno di quei tanti che scrivono agli amici, come se scrivessero per la stampa; e per pescare una frase che non vuol morder l'amo, si lasciano scappar l'ora della posta.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





Sant'Ambrogio Poema Amadigi Amadigi Giusti Petrarca Ariosto Alfieri Foscolo Buffon Grossi