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      Cosa sia, dopo una lunga assenza, riposare la testa sul guanciale di casa, non te lo sto a dire; perchè se rammenti i tempi di Pisa, devi saperlo come me. Ma tu più pacato, più ordinato di me, non saprai forse quanto sia dolce svegliarsi la mattina a contare col capo pieno di pazzie li stessi travicelli, contati e ricontati, in diebus illis, coll'animo sopraffatto dal dolore. Allora queste materasse mi parevano ripiene di stecchi, ora sento che sono di lana, e anco rifatte di fresco. Su nella volta della mia camera, l'imbianchino, dodici o tredici anni fa, per lisciarmi, ci rabescò una cetra: io guardandola anni sono avrei voluto che fosse quella di Tibullo, ora vorrei che fosse quella che servì a Omero per la guerra de' topi e de' ranocchi. E sì che tutte le mie amiche dereliquerunt me, e con mille ragioni, perchè da Firenze qua non ci arrivo, ed era ben giusto che si tenessero ai più vicini. Io me ne passeggio lieto e disinvolto tra le mie amorose, e non alzo la voce neppure per evocare..... (Non continua.)
      11.
      A Lorenzo Marini.*
      Firenze, 24 febbraio 1838.
      Caro Lorenzo.
      Ieri sera morì Cecco Forti. Tutti ne piangono la mente, pochi il cuore. È morto troppo presto per la gloria, troppo tardi per la fama; pure ne è dolorosa la perdita. Il vigore dell'intelletto lo assistè fino agli estremi, e se talvolta il male soverchiava in lui le potenze dell'animo, anco il meccanismo dei suoi vaniloquii manifestava l'aberrazione d'un sapiente. Io, che appena lo salutava in vita, l'ho visitato e pianto nel suo fine; e l'esempio di lui mi ha fatto sentire sempre più, che il sapere è ben poco, rispetto alla illibatezza della vita e delle operazioni: beato chi sa unire l'una e l'altro!


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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