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      Ho per la testa molte buscherate di questo genere come può bene immaginare, ma per ora non c'è verso che le vogliano scappar fuori neppure in veste da Arlecchino. Beati quelli che sciorinano un migliaio di versi come bere un ovo; io perdio ho stitico il cervello, e sto dei mesi che non c'è Cristi che possa infilare un versucciaccio. Questa stagione per esempio è una cosa diabolica per me, e Firenze è una vera fornace. Io nato e cresciuto all'aria di monte, immagini come devo trovarmi, lessato fra queste mura infocate, passeggiando su per questi lastroni roventi. Scapperei a casa, ma è proprio un cascare dalla padella nella brace, perchè se qui m'arrostisce il caldo, là m'annebbia l'uggia, ed io credo la noia il malanno peggiore. Se, nonostante questo, il luglio mi cacciasse in Valdinievole, ho intenzione di venire a dirle o a portarle da me le corbellerie promesse, e così pagarmi della sua conversazione, perchè le cose a ufo non mi piace farle, e sono specialmente ghiotto di questa cara moneta, della compagnia cioè delle brave persone.
      Intanto si prepari a dirmi quali sono gli spropositi che ella chiama nei, perchè non la lascerò andare così facilmente ora che m'ha data la presa. Avverta che io faccio più conto degli errori di giudizio, che di quelli di grammatica, perchè dacchè ci sono grammatiche e vocabolari e lessici vedo più poche cose che non sappiano di gretto e di rattrappito. Queste zucche accademiche son buone a cucire insieme dei periodi aculeati e rotondi, ma stringi stringi, il sugo che n'esce, è sugo di rapa: meglio una bestemmia contro le regole rettoriche e cruscanti che esprima qualcosa, che un testo di lingua minchione che ricanterà le novelle della nonna o qualche miracoluccio d'un Santo.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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