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      Forse l'erba non comporta quel clima, quel terreno; e il ghiaccio, e la mancanza d'erbe e d'insetti, non lascia che v'allignino i pesci, o che vi si fermino gli uccelli aquatici, seppure l'ali li portano a quell'altezza. Trovammo da una costa del lago infinità di pietre piene di nomi e di segni, parte antichi e rosi dal tempo, parte recenti, incisi a punta di coltelli o di chiodi. Ogni umano vestigio ti tocca il cuore in quelle solitudini, ed è ora solamente che nel rammentarmi d'aver letto anco in quelle pietre — Conte tale e Marchese tale, — mi vien da ridere, quasi che il tempo dovesse rispettare quei titoli, come se fosse il custode del Casino. Ho detto che in luoghi deserti non par vero trovare le orme dell'uomo; e specialmente se hai la sorte di leggere il nome d'un conoscente e d'un amico, ti pare di non esser più solo. È meglio portare scritto nella mente la memoria di quei luoghi, che scordarli appena veduti e solamente lasciarvi l'allumacatura del proprio nome. Ma per tutto è così. Oramai non c'è muro nè sasso niente niente celebre, salvo da queste morsicature di nomi e di casati, utili se non altro alla statistica de' vagabondi, posto che i più meschini sieno i più prodighi di sè e del proprio nome, come della firma i falliti. So che al San Bernardo, alla casa del Petrarca in Arquà e in mille altri luoghi si tiene aperto un gran libro nel quale scarabocchiano qualcosa tutti quelli che passano. Quest'uso (che ci ha fruttato un dolcissimo sonetto dell'Alfieri e qualche altra bella cosa) ora è diventato contagioso, e non c'è villa, non c'è tavolino che non abbia l'album.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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