Pagina (203/416)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Io che son fresco della ripicchiata disinvoltura, e di quei sorrisi nati e rassegati su certe labbra infallibili, e di quei modi pari e secchi, in quel momento fui tanto duro, da preferire quella accoglienza discinta, ciarlonta e sgangherata. — Siamo (gridava) qui tra noi alla buona, sanfasson (preferii anco lo sproposito). Du' violini, du' bruciatine, un bicchieretto, e del resto accetteranno il buon core. — E poi conducendoci per la sala: — Ma eh che ragazzotte! ci ho pensato veh! eh lo so, sono stato giovinotto anch'io, e mi fumava, oh mi fumava perdia! gua' quella là che occhi, e questa come appetta bene! Cotesta costì ha il ganzo, giriamo di bordo; non è vero, bimba? badiamo! — E allungava le mani. Intanto eccoti un contadinotto: — E le sorelle? (gridò il sere) pezzo di birba, perchè non hai condotto le sorelle? Signori, se vedessero che grazia di Dio! — Che vole? abba pacenza, mi mae con questo tempo..... e poi s'hanno a leva' presto domane..... — Che tempo e che levare? valle a pigliar subito nel momento..... già sei un grullo se rinascessi..... sta' costì che ci penso io. — E ficcarsi il cappello, pigliar l'uscio e sparire, fu tutt'una. Noi rimasti lì, cogliemmo il tempo per salutare la padrona, che affollati dal Dottore non avevamo veduta neppure. Pareva un prete còrso colla cuffia, e la cuffia un gran cesto d'indivia. Quando ci vide, s'alzò da sedere: la stecca della fascetta gli faceva un cert'angolo sulla pancia, che la signora pareva un letto con dentro il trabiccolo.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





Dio Dottore