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      In capo alla sala un oriolo di legno a pendolo tenuto addietro per dare ad intendere alle mamme che alle due non è ancora mezza notte, e così anco lui condannato dal Notaro a un falso testimonio. Nella stanza a destra, tre tavolini di gioco, uno di calabresella e due di bambara. Giocavano in quattro a calabresella, il curato, il potestà, il medico e il manescalco: a uno dei tavolini di bambara erano in sette, un sarto, un procuratore, uno scolare, il campanaio, lo speziale, il sotto cancelliere e un mezzano d'olio; all'altro tavolino erano in cinque, uno scarpellino, un calzolaio, un muratore, il gonfaloniere e il pesciaio. Che accozzi! ma alla capitale se ne vedono dei più belli. Un ciarlío, un lamentío continuo ai tavolini di bambara; silenzio e gran battere di nocca a quello di calabresella; ma finita la partita, urli, contrasto, invettive da assordire, perchè agli altri giuochi si grida sempre, e a calabresella si grida all'ultimo. Bisogna vedere l'angherie che si facevano, e le regole del gioco sempre poste in dubbio e sempre rinnovate lì sul tamburo come alla Convenzione, e ogni po' a qualcuno degli assistenti: — Venga qua, dica lei, la rimettiamo in lei, non abbia riguardi, dica senza portar barbazzale per nessuno. — Se dai ragione a uno, — Oh va là che l'ho trovato buono (grida quell'altro); già lo sapevo, è un cordone anco lei. — Ma già chi è che cerca giustizia per aver torto? La stanza del buffè era la cucina: in un canto la Betta che faceva un gran pelare d'uccelli, più là altre donne col capo nella madia a mestare; al foco un contadino scamiciato a far le bruciate con un grembialone che pareva un motuproprio; veramente il grembiale era un po' insanguinato, ma il sangue non guasta la similitudine.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





Notaro Convenzione Betta