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      — Oh signori, che son quà? zitti, che è stato ora? che c'è da gridare? animo, fanciulline, prendete qualcosa; Betta, bada alle penne, impennerai ogni cosa. — Vede, glielo dicevo anch'io (rispose il bruciataio in aria di vittoria). — Oh! sape' com'è? (gridò quella, indispettita,) or ora pianto gli uccelli lì io, e chi li vuol pelar se li peli. — Li pelerò io (disse il Notaio strascicando le parole), li pelerò io, ci vuol di molto? scusino veh, signori, con questa gente è una miseria; ragazze, bevete, mangiate, costì c'è tutto, io non posso fare da Marta e Maddalena. — E andato là, levare un tordo di mano alla Betta, piantarsi a sedere col corbello davanti tra le gambe, fu un lampo. Quei quattro o sei che ci rimanevano, furono pelati in un attimo; a non sapere che faceva il Notaro, c'era da pigliarlo per uno che in vita sua non avesse fatto altro che pelare: è bene saper fare un po' d'ogni cosa.
      Avevano già dato nei suoni, ma il ronzío dei violini simile a quello degli scacciapensieri non si sarebbe sentito di cucina (volevo dire dalla stanza del buffè), se non fosse entrato di balla il clarinetto, che negli acuti pareva la cornamusa dei ciociari, e nelle note basse un'anatra. Noi intanto avevamo fatto conoscenza, stretta amicizia, presa confidenza e contratto obbligo di ballare insieme per tutta la sera coll'ultime venute, e tutto questo nel tempo che il Dottore pelava. Anzi, io, assuefatto a non invitare al ballo senza prima passare per la trafila della presentazione, più attaccato agli usi del bon-ton e per conseguenza più gretto de' miei compagni, sarei rimasto indietro, se una di quelle vedendo l'altre già prese, o per timore di restare a sedere o per la sorte che a volte tocca ai più grulli d'esser cercati, non m'avesse detto con una spinta: — O noi, che s'ha a stare a vedere?


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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