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      68.
      Al Marchese Gino Capponi.
      Mio caro Gino.
      . . . . . Dicono i dotti che i primi connubi si facessero per via di ratto. Poi, presso taluni popoli, nel rito fu conservato un simulacro di contrasto tra le parti contraenti, e ciò o per memoria del fare antico, o perchè non paresse che la fanciulla uscisse volentieri dalla casa paterna. Ora quest'usanza si conserva nei monti di San Pellegrino. Lo sposo e i parenti dello sposo, vanno armati alla casa della fanciulla, ed hanno alla testa il poeta del luogo, a cavallo, vestito all'eroica secondo lui. I parenti della sposa appena li veggono, si fanno sull'uscio armati essi pure, e li ricevono con ingiurie e con minacce come se andassero per rubare. Allora il poeta si fa avanti e dice che non per rubare o per altro danno, ma son venuti per cogliere il più bel fiore che sia nell'orto di casa. Quelli della sposa udito questo, fanno venire sull'uscio la più anziana di famiglia; e domandano se è quello il fiore che cercano. No, rispondono, codesto non è un fiore ma una pianta annosa. E così di vecchia in vecchia, dopo una storia più o meno lunga, mostrano finalmente la fanciulla, e detto che quello è il fiore vero, si fa il pateracchio e addio.
      69.
      Al Professore Giuseppe Vaselli.
      Firenze, 24 aprile 1841.
      Mio caro Beppe.
      Sento di scriverti per bisogno dell'animo come a un amico dell'infanzia, e vorrei avere cuore più nuovo per mettermi in perfetto accordo con te. Se potessi vivere a lungo come ho vissuto ne' pochi giorni passati costà, forse potrei ritemprarmi del tutto, forse anche no: chi può sapere se le piaghe del dubbio e dello sgomento sono sanabili mai?


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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