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      — Quando uno sta male, o per una malattia vera, o per creder di averla, per me è tutt'una; e so bene che se l'animo è attristato dentro, il riso o non s'affaccia, o non si trattiene lungamente sulle labbra, e chiamandocelo per forza, apparisce piuttosto un segno di convulsione che di gioia. Voi non avete una salute a tutta prova, colpa di quella disgrazia che vi tenne tanti anni nel letto, in quell'età appunto nella quale le vostre membra dovevano prendere consistenza. Il vostro unico conforto in quei giorni di miseria, era la lettura, dalla quale vi nacque nell'animo l'amore e la capacità degli studi. Così da un male venne un bene, e da questo bene un altro male, che è la malinconia, solito regalo che la meditazione fa a tutti quelli che ci si abbandonano un po' troppo. Io che per lunga prova so di dove si casca, vi diceva sempre: studiate ma non vi rintanate; cercate i libri, ma senza sfuggire i compagni, nè gli svaghi che vuole l'età; non date retta a certi dotti barbagianni, a certi civettoni chiarissimi partigiani della solitudine e del nottambulismo. Costoro, novantanove per cento, amano il silenzio e le tenebre, perchè hanno muto il cuore e buia la testa. Passano per superbi, e non sono altro che gretti e monchi; per savi, e sono impotenti. Fanno mestiere di fuggire gli uomini, e non deve far meraviglia se poi, all'occasione, gli uomini sfuggono loro. Ora, se è vero che voi sentiate il bisogno di vivere in compagnia degli altri, imbrancatevi e non guardate per la minuta.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416