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      Non accuserò nessuno, perchè nessuno sa di quale affetto io sia legato a Gino e a tutta la sua famiglia; ma è una trista cosa averla a fare colli sbadati. Pochi giorni dopo che fui partito di costà arrivò in Pescia il Bufalini per vedere un'ammalata: io, appena lo vidi, gli domandai dell'Ortensia, e dalle parole che me ne disse cominciai a concepire dei timori fortissimi, molto più che le sventure non la perdonano specialmente ai buoni. Nonostante sperava che questa ferita fosse risparmiata al cuore d'un uomo rispettabile come Gino, al cuore di tutti voi; e che a tante afflizioni non s'aggiungesse questa più amara di tutte, di perdere così impensatamente una sposa adorata dal marito, una sorella unica, necessaria alla famiglia, cara al padre perchè propria, più cara perchè minacciata dalla stessa infermità. Io non so cosa mi pensare di questa nostra vita, e comincio a credere che sia meglio d'uscirne, se deve esser protratta così a furia di sciagure e di piangere chi ci abbandona. Vorrei essere a Firenze, non per consolarvi, che è impossibile, ma per dolermi con voi, essendo anch'io uno di quelli che lasciano intera la gioia agli amici e corrono spontanei a dividerne le avversità sempre con tutti. Cerco di non fermarmici: ho sempre Gino, ho sempre la Marianna davanti agli occhi; perchè vi conosco, e mi spaventa la desolazione orrenda della quale dovete sentirvi circondati e oppressi in questo momento. Dio voglia che non vi venga meno il vigore dell'animo, e che nei figli, in voi stessi, negli amici più veri e più prediletti troviate un appoggio al vostro cuore percosso e lacerato in tante maniere.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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