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      Sarebbe bene che queste pubblicazioni popolari uscissero dalle mani dei buoni, ma io poi vorrei che i buoni si studiassero meno di parere, contenti d'essere. Non ti pare che qualche volta e' si dia un tuffo nel pedante? È meglio mostrarsi mezzi buoni e mezzi cattivi, che andare a risico di far fiasco all'occasione.
      Temo questa santimonia; temo questa fede grulla, questa speranza poltrona, questa carità sbadigliante. Oppressi, avviliti, monchi, ridotti automi o giù di lì, credo che siamo disposti più all'odio e alla stizza che all'amore. Pure se l'amore ci ha riprese almeno le labbra, amiamoci tra noi, ma guardiamoci dall'amare i nostri nemici: gli ameremo quando saranno rientrati nei limiti dell'onesto e del debito; per ora è presto. Lontana da noi ogni cervelloticheria cosmopolita o umanitaria: quando ci saremo fatti paesani a casa nostra, chiederemo la cittadinanza del mondo: quando saremo tutti una famiglia qui tra noi, aneleremo a pescare la fratellanza anco al di là dell'Alpi. Tutta questa lungagnata l'ho scritta per concludere che vorrei udire almeno qualche volta un ruggito: mi duole di vedere che i buoni temono di farsi sentire quando fremono, e non danno la lassa altro che alle lacrime e ai sospiri: mi duole che per taluni l'effigie dell'uomo cancelli le linee del nemico anco nei ceffi settentrionali.
      Mille saluti a tutti.
      93.
      Al Professore Giuseppe Vaselli.
      Pescia, 20 agosto 1842.
      Caro Beppe.
      Appena arrivato, sento il bisogno di scriverti poche righe, e poi mi butterò sul letto, se non lieto, almeno un po' più sodisfatto.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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