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      Così l'amante non assicurandosi di guardare apertamente la donna del suo cuore, se nella stanza v'è uno specchio, in quello la cerca e la vagheggia. Vedete, sarebbe più facile che dicessi a voi qual è l'animo mio per Beppe, di quello che sia stato capace di dirlo a lui medesimo; e chi sa che esso ripensando al tempo passato meco, non mi rimproveri di poco affetto. Oh! anch'io sono stato morso e avvelenato, non tanto da rimordere e riavvelenare, ma tanto da rimanerne offeso di stupidità e di paralisía. Voglio che gli amici lo sappiano. . . . . (Non continua.)
      95.
      Al Prof. Giuseppe Vaselli.
      Pescia, 23 agosto 1842.
      Caro Beppe.
      Sabato mattina, dopo avere scritto a te, scrissi pochi versi di pura convenienza al Bianchi per iscusarmi di non avere avuto il tempo di congedarmi da lui come dagli altri di casa sua, e poi mi buttai sul letto. Non era un'ora che dormivo, che mi svegliai all'improvviso, e la prima cosa che mi ferì fu un gran puzzo di carta bruciata e un fumo densissimo che ingombrava la camera. Saltai dal letto, corsi nella stanza dove soglio studiare, e vidi tutto il tavolino in fiamme. Lo stupore, il dolore, la paura che potesse accadere una grave disgrazia non mi tolsero l'animo tanto da sgomentarmi, e cacciando le mani nell'incendio sui libri e sui fogli, sparsi ogni cosa per terra, e coi piedi e coll'acqua che potei avere lì su quel subito, arrivai ad estinguere il fuoco senza chiamare in aiuto. Il fumo m'aveva accecato, tremavo come una foglia, e il terrore mi pose in un abbattimento di spirito, dal quale non risorsi che a mala pena dopo qualche ora.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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