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      Lodano i tuoi versi più per quello che promettono di te in seguito, che per quello che sono: se tu non appagherai queste speranze facendo meglio, addio gloria, addio liete accoglienze, addio parole cortesi. A questo punto della predica, non so come sia andata, ma la Superbia ha lasciato la presa; ed io adesso mi sento quello che ero, solamente più ricco, perchè posseggo una lettera gentilissima segnata Luisa D'Azeglio.
      99.
      A Matteo Trenta.150
      Pescia, 15 novembre 1842.
      Mio caro Matteo.
      Cominciava a rincrescere anche a me questo lungo silenzio, e mi sono proposto mille volte di romperlo e da Firenze e da Pescia, specialmente quando rividi Giovannino e mi rammentai il tempo della nostra conoscenza; ma ora una cosa ora un'altra m'ha condotto fino a qui senza farne nulla, colpa d'una testa scansafatiche, facile a distrarsi e a girare come la lancetta del barometro.
      È un gran pezzo che non ci siamo visti. Tu chi sa che razza di dottore sei diventato, nel tempo che io, se non sono tornato addietro, sarò giù di lì. Che vuoi? ho tirato a campare, a godermi la vita, a rifarmi di molti giorni passati nel Limbo, di molte malinconíe, di molti fastidi sofferti in diebus illis quando nelle brighe di questo mondo ero oggi presbite e domani miope e presumevo di non esser menato per il naso. Ora non ci vedo più chiaro, ma in certe cose mi son dato per orbo, come dice il Guadagnoli nella Prefazione al Baccelli del 1843, e di quel po' di barlume che mi rimane me ne servo per me, seguitando a fare il cantastorie senza badare a chi passa.


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Epistolario
Volume Primo
di Giuseppe Giusti
Le Monnier Editore Firenze
1863 pagine 416

   





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